Ambiente, Articoli, Economia locale, Riparazione

Quali ostacoli alla riparazione (1)

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, il Riparare è una componente dell’Economia Circolare, un modo virtuoso per allungare la vita dei prodotti, invece di buttarli via. Fino ad un paio di generazioni fa, riparare era ancora assolutamente normale. I mobili, le apparecchiature, i vestiti, le auto ecc. erano tutti costruiti secondo criteri di qualità. Le aziende costruttrici concorrevano tra di loro proprio sulla base della qualità dei loro prodotti, i quali (per tale ragione) non costavano affatto poco. Al di fuori della produzione seriale, l’artigianato aveva il suo spazio di economia e il saper fare qualcosa con le proprie mani era una qualità. Di solito un prodotto nuovo era migliore di uno meno nuovo, nelle funzionalità, ma nella sua qualità totale; era pensato per durare e per essere riparato, ma soprattutto rispondeva ad un’esigenza reale del consumatore. Se un oggetto od un vestito si rompevano, la prima opzione era sicuramente la riparazione e non l’acquisto del nuovo, questo anche per coloro che se lo sarebbero potuti permettere. Perché nel mondo prevalentemente agricolo dal quale proveniamo, era quasi (o forse sicuramente) un peccato, un delitto, buttare qualcosa che con un piccolo sforzo poteva ritornare ad essere usato. C’era anche una consapevolezza diffusa che uno spreco (che sia di energia o di materiale, ecc.) era una cosa assolutamente da evitare, anche quando non c’era carenza, perché si pensava a quando avrebbe potuto esserci. Oggigiorno sembra che il fattore economico abbia preso il sopravvento su tutto ciò. Le aziende concorrono esclusivamente sul profitto e qualsiasi cosa si possa fare per aumentarlo è intrinsecamente giustificata, magari in nome dei posti di lavoro che si forniscono o del benessere (o tanto-avere dovrei dire) che abbiamo. L’artigianato è quasi sparito e con sé tutto il sapere che ne conseguiva, anche in termini di capacità di riparazione. Veniamo al dunque, il criterio con cui le cose vengono oggi prodotte non è certo la qualità, ma avere il prezzo più concorrenziale possibile, per poterle vendere in grande quantità e che durino poco, in modo da sostituirle velocemente. Le voci principali che formano i costi delle aziende sono prevalentemente i salari ed i materiali; quindi, se si cerca in tutti i modi di diminuire entrambi, di conseguenza il nuovo non è migliore del vecchio, anzi. Per migliore si intende non solo la qualità dei materiali, ma anche come è stato progettato: se per durare o meno, se per essere smontato e riparato, se sono previsti pezzi di ricambio, se i materiali sono scelti in base al loro possibile riutilizzo o smaltimento. Nell’attuale produzione, la strada verso un’Economia Circolare è ancora lunga da percorrere. Le persone di buona volontà magari vorrebbero anche oggi riavere in funzione il loro oggetto preferito, ma troppo spesso il primo ostacolo per i riparatori è l’apertura dell’oggetto stesso: istruzioni di servizio o schemi funzionali sono un ricordo del passato, involucri fatti ad incastro di fragile plastica, viti impossibili da svitare se non con cacciaviti speciali, inserite in buchi impossibili da raggiungere, pezzi di ricambio inesistenti o carissimi. Insomma, come dicevamo prima, il prodotto non è stato progettato pensando che potesse essere aperto e riparato, ma solo gettato via, sostituendolo con uno nuovo. Ovviamente un prodotto così costa poco produrlo e costa tanto ripararlo, quindi non c’è partita. Per ora l’atto della riparazione è ancora un atto assolutamente controtendenza e controcorrente, in continua concorrenza con una produzione seriale a bassissimo costo, ma immaginate invece quanto lavoro potrebbe dare e quanto invece la grande produzione diminuisca i posti di lavoro (sostituendoli con l’automazione) per rimanere concorrenziali sul prezzo di vendita, la chiamano aumento della produttività. Il ruolo/potere del consumatore sarebbe nel far ritornare importante la qualità di ciò che si compra, la sua riparabilità, il servizio post-vendita, la disponibilità di pezzi di ricambio. A facilitare questa scelta, sarebbe bello se le etichette che obbligatoriamente oggi segnalano il consumo energetico degli elettrodomestici, tenessero conto anche di questi fattori, permettendo ai consumatori di orientarsi facilmente nell’acquisto. Ne parleremo nel prossimo articolo.

Ambiente, Articoli, Economia locale

Il concetto di Economia Circolare

Ultimamente si fa un gran parlare e scrivere di Economia Circolare, come qualcosa che può risolvere tutti i problemi legati all’ecologia, all’inquinamento e conciliarli addirittura con le esigenze dell’economia (così come è) e di uno sviluppo di tipo sostenibile. Ma difficilmente ci si prende la briga di approfondire, se sia qualcosa alla quale effettivamente porre l’attenzione, se sia una di quelle mere e astruse teorie degli economisti, oppure qualcosa di concreto, applicabile al giorno per giorno e a tutti noi. Innanzi tutto, se si parla di essa come ad un cambiamento da introdurre nei nostri sistemi di vita, di produzione di merci e servizi e nello smaltimento dei rifiuti, vuol dire che oggi non siamo “circolari” e quindi, in che tipo di economia viviamo? Attualmente, nei paesi industrializzati (ma ormai quasi ovunque nel mondo), siamo immersi in un’economia che ha come scopo unico l’aumento delle merci e servizi venduti, quindi si estraggono risorse ed energia dalla Terra, si producono oggetti, che si usano più o meno brevemente e poi immancabilmente, prima o poi, diventano rifiuti. È chiamata Economia Lineare, ovvero un processo ove non c’è nessun collegamento tra lo sfruttamento delle risorse che abbiamo a disposizione e il fine vita degli oggetti buttati via. Per ogni nuovo oggetto, si ritorna a fare affidamento solo su risorse nuove. Questo modo di produrre, consumare e gettare, comporta l’aumento dei rifiuti e degli inquinanti ed il depauperamento delle risorse a disposizione, le quali non sono infinite. In un’Economia Circolare invece, prima di produrre qualcosa di nuovo partendo da nuove risorse, si rimettono in circolo i prodotti in vari modi: riusandoli, riparandoli, condividendoli, riciclandoli.  In questa ottica i Caffè Riparazione, inventati dall’ACSI, sono perfettamente in linea con un’Economia Circolare, perché favoriscono la riparazione degli oggetti, i quali avranno una vita più lunga di quella prevista dal costruttore. Per ogni oggetto riparato, ci sarà un’oggetto in meno da buttare, smaltire e quindi meno nuove risorse da “rubare” alla Terra, meno rifiuti ed in teoria, anche meno costi per i cittadini che pagano la tassa rifiuti. Bisogna dire, in tutta onestà, che non c’è nulla di innovativo nel concetto di Economia Circolare, stiamo soltanto dando un nome e (ri)avvicinandoci a ciò che è la costituzione primaria della Natura. In essa non esiste neanche il concetto di rifiuto, perché qualsiasi cosa che nasce, compie il proprio ciclo di vita e poi si trasforma in qualcos’altro, senza che mai rimanga qualcosa non metabolizzato da qualche altro processo o altro essere vivente, i quali seguiranno un analogo iter, in un andamento appunto circolare. Fino alla seconda Rivoluzione Industriale (1870 circa), l’economia umana prevalentemente agricola ed il numero decisamente minore di persone, ci manteneva ancora all’interno di questi cicli. Da allora ad oggi abbiamo superato alla grande la capacità della biosfera di metabolizzare gli scarti umani; infatti, l’Overshoot day del 2022 (il giorno in cui si esauriscono le risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare in un anno) è arrivato il 28 di Luglio ed ogni anno arriva prima, perché consumiamo sempre di più e sempre più in fretta. Che cosa fare? Tutto è perduto? Viste le differenze tra l’Economia Lineare e quella Circolare, nel prossimo appuntamento parleremo di quanti e quali ostacoli ci sono da rimuovere per (ri)passare da una all’altra, ma una cosa è certa, più persone parteciperanno ai Caffè Riparazione e più forte si farà sentire la volontà dei cittadini di questo Mondo a ritornare nei limiti del Pianeta Terra.